sabato 24 maggio 2008

"GOMORRA" E ISRAELE, SFIDA PER LA PALMA

Sarà la superstizione, sarà l'invalicabile barriera di silenzio che circonda la giuria, ma mai come quest'anno latitano indiscrezioni sui premi. E non saranno certo i «napoletani » di Gomorra (anche se il regista è romano) a rompere il silenzio, nonostante circolino voci sull'entusiasmo del presidente della giuria Sean Penn. Possiamo solo aggiungere che Matteo Garrone, tornato venerdì a Cannes per ritirare il premio Arcobaleno, si ferma per il weekend sulla Croisette: per amore del mare? A concorre per il massimo premio si parla anche del film israeliano Waltz with Bashir, del turco Üç maymun, che ha il massimo dei gradimenti tra le «stelline» del quotidiano specializzato Screen, dei «soliti» Dardenne (che però hanno già vinto due volte), mentre la Francia, senza Palma dall’87, sembra puntare molto sul film di Cantet, Entre les murs, sabato in concorso.

INCOGNITA WENDERS - E poi c’è l’incognita Wim Wenders con il suo The Palermo Shooting, storia di un fotografo in crisi esistenziale che arriva a Palermo per fotografare Milla Jovovich: qui incontra la restauratrice Flavia (Giovanna Mezzogiorno) e viene inseguito da un misterioso «assassino». Ma venerdì sera, alla prima proiezione, il film è stato accolto freddamente. Il divo potrebbe (dovrebbe) lanciare la prova di Toni Servillo in prima linea per il riconoscimento al miglior attore: né Benicio Del Toro nei panni del Che né Philippe Seymour Hoffman in quelli del regista di Synecdoche, New York uguagliano la sua prova, ma anche qui la scaramanzia è di rigore. E tra le donne gli apprezzamenti più convinti sono stati per Arta Dubroshi, la protagonista di Le Silence de Lorna dei Dardenne: neppure un pur brava Angelina Jolie sembra in grado di impensierirla. Ma si sa che non conta solo la bravura .

DELUSIONE «CHE» - Piuttosto incontestabile, invece, il fatto che i film degli ultimi due giorni, con l'esclusione del Divo, sono stati più o meno tutti deludenti. A cominciare dal mastodontico Che di Steven Soderbergh: due «tempi» (o due film: in Francia usciranno a un mese di distanza) di 2 ore e 10 minuti l'uno per raccontare il ruolo di Ernesto Guevara nella rivoluzione cubana e poi in Bolivia. La prima parte ricostruisce il 1958, con i combattimenti sulla Sierra Madre fino alla vittoria di Santa Clara che aprì la strada vero l'Avana, alternandolo alle immagini (in bianco e nero) della missione di Guevara all'Onu, nel 1964; la seconda parte, con una fotografia più «polverosa », ripercorre gli undici mesi durante i quali il Che tentò invano di spingere i contadini boliviani a ribellarsi al governo, finiti il 9 ottobre 1967 con la sua uccisione. Interpretato da un Benicio Del Toro somigliantissimo ma un po' monocorde, il film ricostruisce abbastanza bene la parte cubana, puntando molto sull'empatia tra ribelli e locali, oltre che sul ruolo carismatico del Che, ma finisce per ridurre la disfatta boliviana a un resoconto piuttosto monotono di spostamenti nelle boscaglie. Soderbergh tralascia completamente le ragioni politiche di una sconfitta (e il fallimento dell'ipotesi rivoluzionaria terzomondista) ma non affronta neppure la dimensione mitica del Che. E descrivere per due ore la triste vita quotidiana dei ribelli è una scelta più che discutibile. Discutibile è anche il compiacimento fin troppo letterario con cui Philippe Garrel racconta la tragica storia d'amore tra un'attrice (Laura Smet) e un fotografo (Louis Garrel, figlio del regista) in La Frontière de l'aube: gelosia e incomprensione mettono fine al loro amore e lei finisce per suicidarsi ma torna da morta a ossessionare il giovane, invitandolo a «raggiungerla». L'idea era quella di fare un film «letterario», che non avesse paura di essere romantico come i libri dell'Ottocento, ma l'eccesso di manierismo e soprattutto una recitazione troppo sottolineata finiscono per cancellare ogni fascino.

(da corriere.it)

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