venerdì 29 ottobre 2010

SI E' SPENTA CECILIA SACCHI, MAMMA DI GIOVANNA MEZZOGIORNO

Si è spenta questa mattina a Milano all'età di 72 anni, Cecilia Sacchi, madre di Giovanna Mezzogiorno. Era malata da tempo, ma la sua morte, avvenuta nel sonno, è stata improvvisa e imprevista e ha colto di sorpresa i familiari stretti (oltre alla figlia Giovanna, la sorella Valeria, i nipoti Dino e Filippo Gentili) e gli amici. Nel 1969 l'incontro della sua vita, sul palcoscenico del Teatro Greco di Segesta con l'attore Vittorio Mezzogiorno. Fu l'inizio di un sodalizio umano e professionale indissolubile, sfociato nel matrimonio. Nel 1974 alla nascita della figlia Giovanna, Cecilia Sacchi scelse di abbandonare le scene per dedicarsi alla famiglia. Suo marito era scomparso prematuramente nel 1994 a 52 anni. (da ilsole24ore.com)

mercoledì 20 ottobre 2010

"PALERMO SHOOTING" FINISCE IN TRIBUNALE

Il film "Palermo Shooting" avrà una coda in tribunale. E' guerra infatti tra il regista Wim Wenders e il Comune di Palermo, dove furono girate alcune scene del film. Il regista tedesco chiede il pagamento del contributo di 300 mila euro che gli era stato promesso(in più occasioni) dal sindaco Diego Cammarata per la produzione del film. Il sindaco poi ci ripensò, dopo aver saputo che nel film avrebbe avuto una parte Leoluca Orlando, suo avversario alle elezioni del 2007. La scena fu comunque inserita solo nella versione del film proposta al Festival di Cannes, ma poi tagliata in quella distribuita nelle sale. Il film, girato fra Düsseldorf e la provincia di Palermo, era interpretato dalla rockstar tedesca Campino, da Giovanna Mezzogiorno e Dennis Hopper. (fonte: repubblica.it)

venerdì 8 ottobre 2010

FILM DA VEDERE: UNA SCONFINATA GIOVINEZZA DI PUPI AVATI

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Una sconfinata giovinezza

  • un film di Pupi Avati
  • con Fabrizio Bentivoglio, Francesca Neri, Serena Grandi, Gianni Cavina, Lino Capolicchio.
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 98 min.
  • Paese: Italia 2010

Lino Settembre e Chicca sono sposati da tanti anni. Un matrimonio felice e affiatato, nonostante le differenze: lui giornalista sportivo per il Messaggero, lei docente universitaria di filologia romanza, proveniente da una famiglia di primari e pianisti, dove tutti figliano come conigli. Lino e Chicca non hanno figli, non sono arrivati, ma quando Lino comincia ad accusare i primi segni di una demenza senile precoce e degenerativa, Chicca si trova a fargli da mamma, ad occuparsene come fosse un bambino.
Dopo Gli amici del bar Margherita, riuscita tessitura di una serie di ricordi dell’adolescenza del regista, Una sconfinata giovinezza appare subito tenuta insieme da un’idea narrativa molto più salda e forte, una storia nel senso più pieno del termine, come poche se ne trovano nel cinema italiano. Pupi Avati non è certo il primo ad aver toccato il tema umanissimo della trasformazione dell’amore coniugale in amore filiale, la letteratura lo esplora da sempre e il cinema lo ha fatto a suo modo recentemente col Benjamin Button di Fincher, ma Avati lo fa ora nel cinema italiano, col suo linguaggio particolare, quasi un idioletto, distinto dalla lingua madre delle produzioni romanocentriche.
Peccato che le scelte di regia non sostengano la dolorosa poesia della trama: peccato per le musiche enfatiche, da drammone, e per il seppia delle sequenze di Lino bambino, che costituiscono in assoluto la parte più magica del film. Può darsi che nella memoria del regista, quei ricordi – perché son tutti veri: dal cane Perché all’incidente d’auto mortale, dalla straordinaria vicenda del brillante ai non meno straordinari fratelli Nerio e Leo – siano registrati con quei colori, ma è più facile che l’artificio filmico canonizzato si sia imposto prima sulla mente che dirige e poi sulla mano che traduce. E peccato, infine, per quei piccoli tentativi di giocare con gli obiettivi per rendere lo spaesamento dettato dalla malattia, insicuri e fuori tono.
Eppure, nonostante tutto questo, che poco non è, il film ha una potenza emotiva irresistibile e tocca corde profonde, che hanno a che fare con la sorte dell’uomo e il bizzarro e struggente mistero dell’infanzia che non finisce mai e, anzi, torna prepotentemente al tramonto (o in autunno, come il cognome del personaggio pare suggerire), non si sa se più per beffa o per consolazione.
Bentivoglio è quello che un protagonista dovrebbe essere: l’unico interprete possibile per quel ruolo, ma gradito è anche il ritorno di Capolicchio e di Cavina, con i loro ruoli ambigui e le loro ombre, che illuminano, per contrasto, l’innocenza del personaggio principale, la sua perdita di ogni retropensiero e l’adesione terminale e totale a una bugia da bambini.
Per Avati ancora e sempre la vita è come un film: giunta alla fine si riguarda dall’inizio. (scheda MyMovies)

giovedì 7 ottobre 2010

FESTIVAL DEL CINEMA DI ROMA: QUATTRO FILM ITALIANI IN CONCORSO

Il Festival internazionale del film di Roma si svolgerà dal 28 ottobre al 5 novembre. Protagoniste annunciate Keira Knightley e Eva Mendes protagoniste di Last Night di Massy Tadjedin, insieme al protagonista di Avatar Sam Worthington. La direttrice artistica Piera Detassis annuncia: "Quest'anno presentiamo meno film di major e più di indipendenti. Noi compiamo 5 anni e il festival ringiovanisce, si abbassa l'età degli autori". Confermate le presenze di Julianne Moore, Fanny Ardan, Marion Cotillard e le italiane Valeria Solarino (che sarà la madrina), Valeria Golino e poi Romain Duris, Toni Servillo, Claudio Santamaria. Ben quattro i film italiani in concorso: La scuola è finita di Valerio Jalongo; Una vita tranquilla di Claudio Cupellini; Io sono con te di Guido Chiesa; Gangor di Italo Spinelli.

venerdì 1 ottobre 2010

FILM DA VEDERE: SOMEWHERE DI SOFIA COPPOLA

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Somewhere

  • un film di Sofia Coppola
  • con Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pontius, Karissa Shannon, Kristina Shannon
  • Genere: Drammatico
  • Durata: 98 min
  • Paese: USA 2010

Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia

Johnny Marco vive in un appartamento dell’hotel Chateau Marmont. Tra spettacoli erotici di dubbia eleganza e avventure amorose brevi e disimpegnate , trascorre le giornate in un’apatia ovattata e silenziosamente distruttiva. L’inaspettata permanenza della figlia Cleo impone un cambiamento nel ritmo quotidiano dell’attore. Videogiochi, nuotate, esposizioni al sole e un’incursione alla serata dei Telegatti italiani riempiono le giornate dei due famigliari. L’equilibrio apparente dura fino alla partenza di Cleo per il campeggio. E il ritorno alla vita di Johnny.
Dopo il pernottamento a Tokyo di Lost in Translation, Sofia Coppola sposta l’attenzione su un altro hotel, il famoso Chateau Marmont, residenza alternativa di molte star hollywoodiane. Siamo a Los Angeles, in un posto riconoscibile e leggendario, ma i luoghi del film (stanze, piscine, studi televisivi) sono fondamentalmente ‘non luoghi’, ambienti senza radici, che, allo stesso tempo, assumono il ruolo di deposito di emozioni forti ma taciute. Le abitudini edoniste del protagonista assicurano l’illusione del successo ma sono così portate all’estremo da trasformare l’eccitazione in indifferenza. Lo sguardo sottile della regista (anche sceneggiatrice del film) ci introduce al personaggio con delicata tenerezza. Non condanna la sua pacata amoralità né giudica l’impacciata ricerca di incontri sessuali; preferisce invece svelare la sostanziale cifra di quei comportamenti, drammaticamente sconsolati e privi di vitalità. Lo stile di ripresa, fatto di lunghi silenzi, inquadrature ferme (dove spesso è uno zoom lentamente graduato ad avvicinarsi al soggetto) e piani-sequenza densi di suggestioni, mettono in luce le contraddizioni esistenziali di Johnny. La regista mostra gli opposti in gioco con un senso dell’ironia seduttivo. L’arrivo discreto della figlia scombina questo piano narrativo e diventa lei la responsabile della riconquista emotiva del padre. È la piccola Cleo il personaggio attivo che ‘pattina’ con grazia sulla strada sottosopra del genitore.
Il circuito chiuso della scena iniziale, dove una Ferrari corre in moto perpetuo, è la rappresentazione visiva dell’aridità umana dell’attore. La scarsità di parole dei dialoghi bilancia la ruvidità del rombo del motore o del chiasso delle festicciole private, per dire che l’affetto, per manifestarsi, non ha bisogno di fare rumore. Il cinema della Coppola, ancora una volta, predilige l’omissione alle dichiarazioni esplicite e in questa rarefatta rinascita del rapporto tra padre e figlia chiede agli attori una gestualità posatissima ma, al tempo stesso, ricca di microespressioni che svelano l’amarezza interiore. Il trash abbonda (l’Italia televisiva è un paese dal quale scappare di corsa) e si insinua nelle camere d’albergo come nell’intimità delle persone, ma rimane, in questo caso, a coprire il ruolo di comparsa. Come Benicio Del Toro in ascensore o Laura Chiatti a Milano. Figuranti di uno spettacolo che va in scena da ‘qualche parte’, ovunque e in nessun luogo. (fonte: mymovies.it)